Istituzioni e dottrine delle chiese

Storia della chiesa armena

Il cantiere internazionale di ricerca sulla storia della chiesa armena studia la storia del cristianesimo armeno nei suoi periodi formativi e negli sviluppi successivi, ponendo l’accento sull’attività conciliare. Ha come obiettivi la produzione dell’edizione critica dei concili della chiesa armena nel progetto Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque Decreta  in seno al Corpus Christianorum e l’approfondimento di tematiche storico-religiose, confessionali e liturgiche che hanno interessato il cristianesimo degli armeni e le popolazioni, le confessioni e le fedi circostanti.
La tradizione locale vuole che l’Armenia sia stata la prima nazione ad abbracciare il cristianesimo come religione ufficiale. Qualunque sia il valore che si vuole dare a questi concetti, il dato storico è che nell’anno 314 il re d’Armenia Trdat (Tiridate) si convertì al cristianesimo e fu battezzato dal suo connazionale Grigor (Gregorio), detto l’Illuminatore. L’evento segnò la nascita di un cristianesimo caucasico che portò presto (fra IV e VIII secolo) alla nascita di tre chiese distinte: quella armena, quella della cosiddetta Albania caucasica (a nord e a est dell’Armenia), e quella georgiana. Queste comunità, per motivi geografici prima ancora che storici e politici, si trovarono nel corso dei secoli coinvolte e sconvolte dalle forze preponderanti che le circondavano: Roma e la Persia, Bisanzio e il Califfato, l’Impero ottomano e quello safavide, ancora l’Impero ottomano e quello russo, la Turchia (e la NATO) e l’Unione Sovietica. Nate e maturate in un contesto così tumultuoso, le tre chiese seguirono percorsi diversi: quella georgiana rinsaldò ben presto i suoi legami con il patriarcato di Costantinopoli e proseguì nel filone dell’ortodossia, mentre la chiesa albana finì – al netto di alcuni tratti peculiari che meritano di essere studiati e approfonditi – per essere di fatto armenizzata e subordinata alla chiesa armena; quest’ultima, infine, elaborò una propria identità confessionale attraverso un percorso fatto di concili e di sangue. La storia della chiesa armena (poi nota come chiesa apostolica armena) finì per coincidere sempre più spesso e sempre più profondamente con quella della nazione armena, ma è importante notare – e su questo ulteriori ricerche sono senz’altro necessarie – che i due elementi (chiesa e nazione) non si confusero mai completamente l’uno nell’altro: già prima dell’VIII secolo al di fuori della chiesa armeno-apostolica rimasero le comunità armeno-calcedonite, come si è accennato, alle quali si sovrappose una chiesa armeno-cattolica, affiancata poi, a partire dall’Ottocento, dalla chiesa armena evangelica. Le differenze confessionali, talvolta alla base di contese assai aspre, passarono necessariamente in secondo piano all’inizio del Novecento, nel terribile momento del genocidio del 1915, che ebbe effetti devastanti su tutto il cristianesimo armeno ma che colpì con maggiore violenza la chiesa armeno-apostolica: quest’ultima riuscì tuttavia a risollevarsi e a raggiungere una difficile – ma riuscita – convivenza con l’Unione Sovietica: fu Stalin in persona a consentire lo svolgimento dell’assemblea ecclesiastica che, nel 1945, permise di riordinare la chiesa e di restituirle una certa autonomia, anche in considerazione del contributo di sangue dato dagli armeni alla vittoria nella Seconda guerra mondiale. Anche in questo nuovo millennio, il cristianesimo armeno prosegue il suo percorso districandosi all’interno di dinamiche storiche non troppo dissimili, tutto sommato, da quelle che hanno caratterizzato i diciassette secoli precedenti.

Ci lavora Federico Alpi.

Storia della chiesa copta. Il corpus canonum

La tradizione copta è una delle più ricche dell’Oriente cristiano. Il suo portato culturale si caratterizza per una varietà di esperienze ecclesiali che vanno dal monachesimo egiziano del IV secolo a una specifica produzione letteraria in greco, copto e arabo. La sua influenza sullo sviluppo del cristianesimo dei primi secoli trova difficilmente eguali a causa della funzione preminente assunta dalla sede di Alessandria, in particolare nelle controversie cristologiche. Essa, inoltre, ha rappresentato il punto d’incontro tra diverse importanti tradizioni culturali della tarda antichità nel contesto mediterraneo, in cui gli elementi ellenistici coesistevano con quelli propriamente egiziani, ebraici e, in seguito, arabi. All’interno di questo contesto si è sviluppata, attraverso un percorso articolato e complesso, la chiesa egiziana. Per meglio comprendere e valorizzare il portato culturale ed ecclesiale di questa chiesa, il cantiere di ricerca si concentra sulla tradizione canonica e conciliare copta, attraverso lo studio della traduzione in copto del Corpus canonum e della sua trasmissione in area egiziana e la preparazione di un volume per la serie Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque Decreta.

Ci lavora Costanza Bianchi.

Il cristianesimo in Africa

Nel corso del XX secolo si è assistito a un’espansione senza precedenti del cristianesimo in Africa e allo stesso tempo l’Africa – non solo a livello numerico – ha assunto un’importanza sempre più centrale nel contesto della comunità cristiana mondiale. Lo studio del cristianesimo africano diventa quindi una premessa fondamentale per la comprensione delle nuove traiettorie e dinamiche del cristianesimo a livello globale. Questo cantiere di ricerca si propone di analizzare la presenza del cristianesimo in Africa nelle sue molteplici manifestazioni, da un punto di vista interdisciplinare e dialogico. Si punta infatti l’attenzione sul cristianesimo in rapporto, o meglio, in dialogo con la specifica cultura e realtà storica sottostante, con la società e, in particolare, con le altre religioni. Uno degli scopi principali del cantiere è inoltre quello di intensificare lo scambio di conoscenza e il confronto fra studiosi provenienti dal Sud e dal Nord del mondo.

Ci lavora Ilaria Macconi.

Il diritto canonico in età medievale: l’Ostiense

Il cardinale Enrico di Susa, noto come Hostiensis, vissuto nel XIII secolo (circa 1200-1271), è certamente una figura importante nella tradizione del diritto canonico, e oggetto di un alto numero di studi. Negli ultimi cinquant’anni, il suo modo di intendere l’ecclesiologia all’indomani della riforma gregoriana, ha suscitato accesi dibattiti tra gli studiosi: a partire dalla problematica conciliazione tra la sua comprensione della plenitudo potestatis papale, e la partecipazione del Sacro collegio alle decisioni pontificie; fino al complesso rapporto tra diritto civile e diritto canonico, alla base della sua dottrina aequistas. Tale ricerca si prefigge di far emergere la complessità del pensiero di questo canonista, esaminandone i punti più problematici, insieme agli aspetti di continuità e innovazione (rispetto a una scuola già consolidata – quella di Bologna), cercando di aprire lo sguardo a nuovi percorsi di ricerca.

Ci lavora Lucia De Lorenzo.

L’educazione del clero dopo il concilio di Trento

La ricerca mostra il processo che ha portato all’istituzione del seminario quale centro di formazione per il clero secolare. Il progetto si è concentrato dunque sul secolo precedente al decreto Super reformationem (1563), prendendo in analisi la manualistica per il clero, in particolare i trattati sui sacramenti, in modo da ricostruire il modello ideale di prete che il concilio di Trento ha ereditato e poi sviluppato. Con l’avvento della tecnologia a caratteri mobili, nel periodo 1450-1563 sono stati prodotti diversi manuali per i sacerdoti, di cui uno in particolare ha avuto una diffusione rapida e capillare a livello europeo: il Manipulus curatorum (1330), che apparve in circa duecento edizioni fra il 1473 e il 1581. Questo manuale è un perfetto caso di studio per lo sviluppo di un’indagine volta a individuare le conoscenze richieste al clero diocesano per l’amministrazione dei sacramenti e la guida della parrocchia. Lo studio di diversi sinodi diocesani precedenti e posteriori al Tridentino conferma che tale manuale fu in effetti il più citato dai vescovi quale testo di studio per il clero, attestandone l’uso fino al XVII secolo.

Ci lavora Antonio Gerace.

La riforma della curia romana

Il tema della riforma della curia romana ha accompagnato tutto il suo sviluppo storico. Prima con la richiesta della rimozione degli abusi che si sono manifestati con l’affermazione del suo potere e in un secondo momento si è espressa nella determinazione a trovare forme di organizzazione del potere ecclesiale che consentissero una più efficace realizzazione del volere papale. L’intensificarsi dei processi di riforma nel corso del XX secolo costituisce sia il segnale di uno sforzo di adeguamento ai dettati conciliari (prima del concilio Vaticano I poi del concilio Vaticano II) quanto la presa d’atto di una difficoltà a comporre una struttura sorta in età medievale con le evoluzioni culturali ed ecclesiologiche intervenute negli ultimi secoli. Il processo di riforma ora segue il criterio di restituire alle chiese locali competenze che nel corso dei secoli erano state acquisite dalla curia romana.

Ci lavora Enrico Galavotti.